Album Reviews: Something Weird

  • Qualcosa di strano; non c'è titolo più adatto per questo disco che la band descrive come theatrical rock. In effetti in modo cangiante ma ottimamente fuso possiamo trovare diversi elementi in quest'album dal mod inglese che ricorda i Jam dell'iniziale Introitus più The Circus al doom, al prog, alla psichedelia. Il cast di ospiti è veramente notevole e la lista è lunghissima: Matt Malley dei Counting Crows, Tony "Demolition Man" (Venom Inc., Atomkraft), Mike Browning (Nocturnus AD), Steve Sylvester (Death SS), Freddy Delirio (Death SS, H.A.R.E.M.), Martin Grice (Delirium), Manuel Merigo (In.Si.Dia), Ain Soph Aour (Necromass), Andrea Calzoni (Psycho Praxis) ed Enrico Ruggeri. 

    La provenienza da aree musicali così variegate dà l'idea di un'opera multiforme che tuttavia mantiene una sua coesione e un filo narrativo che possiamo ricondurre sotto l'ombrello di un'attitudine libera, fresca ed accattivante. Più che qualcosa di strano, abbiamo qualcosa di fantasioso e fuori dagli schemi, una cosa che non siamo più abituati a riconoscere così frenati dalle categorizzazioni di genere. 

    Il ritmo allegro in levare e tastiere frizzanti si aggirano dalle parti del prog e dello space rock (Rain) per poi passare al goth e al doom lento e romantico di I Am An Eye con atmosfere nebbiose e morbose guidate da synth che ricordano i Paradise Lost (An Embalmer's Lullaby Part Two) o la migliore dark wave inglese. Questa avvolge l'ascoltatore in un manto di pathos crepuscolare con melodie cullanti (Sentymento) e voci sospese nell'aria (Pain). C'è un'aura stregonesca e leggermente occulta che permea tutto il disco, sia quando vira più verso il metal (Scream Again) che quando si concede a languidi voli pindarici degni degli Hawkwind (Dusk Patrol). 

    Indubbiamente la lunghissima esperienza di tutti i musicisti coinvolti ha permesso di forgiare musica di qualità e con un suo sapore affascinante e composito. Il raga indiano Grey Obsession dal tenue sapore anni '60 con un flauto seducente e una voce vellutata ci porta in territori onirici. Davvero qualcosa d'interessante. 

  • Si è sempre sostenuto che il cosiddetto progressive escludeva il punk. O viceversa. L'uno era l'antitesi dell'altro.

    E invece, con questo gruppo, che annovera tra le proprie fila membri di Death SS, le due cose si mischiano. Con esiti, devo dire, interessanti, sorprendenti.

    Immaginate certe movenze tipiche del rock progressivo suonate con la grinta/grezzezza tipiche del punk. I Mugshots vi spiazzano.

     

     

     

     

     

     

     

  • Qualcosa di grande.

     

    Il quarto album dei messia dell'horror rock, guidati dal cantante Mickey E.Vil, corona il percorso compiuto sin qui.

    Su una base hard rock, il quintetto amplifica sia le influenze progressive, con l'organo che primeggia, che quelle glam e punk sbilenco, tra Marc Bolan e Ian Dury, e certa new wave, con i musicisti che sviscerano sonorità coraggiose.

    A riprova di un'ampiezza di vedute concessa a pochi, un cast di ospiti variegato da Enrico Ruggeri a Steve Sylvester. Album che non finisce mai di stupire.

    Gianni Della Cioppa

     

  • Mickey E.Vil da diversi anni regge le fila di questa band bresciana che, noncurante di mode e tendenze, ha portato avanti con coerenza un mix personale di heavy rock e new wave, 

    con riferimenti diversi che vanno da Alice Cooper ai Lords Of The New Church.

    Nel loro cammino hanno collezionato collaborazioni eccellenti, come quella di Dick Wagner, mentre qui troviamo Freddy Delirio, che si occupa anche della produzione, Enrico Ruggeri, Steve Sylvester e moltri altri.

    Dark rock di prim'ordine, dal sapore teatrale, con un songwriting ricco e vario, dalle cui pieghe emergono citazioni, è vero, ma si tratta per lo più di musica davvero originale, sempre in bilico tra tensioni post punk e vorticose partiture heavy gotiche, in forma sempre più matura.

    GOTHIC ROCK AT ITS BEST

     

  • Che cosa potrà mai combinare un pittoresco ensamble bresciano in collaborazione con un variegato manipolo di ospiti del calibro di Matt Malley (Counting Crows), Tony “Demolition Man” Dolan (Venom Inc., Atomkraft), Mike Browning (Nocturnus AD), Steve Sylvester (Death SS), Freddy Delirio (Death SS, H.A.R.EM.), Martin Grice (Delirium), Manuel Merigo (In.Si.Dia), Ain Soph Aour (Necromass), Andrea Calzoni (Psycho Praxis) ed Enrico Ruggeri? Sicuramente Qualcosa di Strano … e di geniale, aggiungo dopo aver ascoltato questo sorprendente “Something weird”.
     
    I The Mugshots, già artefici di svariate pubblicazioni discografiche (tra cui un Ep prodotto dal mitico Dick Wagner!) raggiungono la “maturità” artistica con un Cd appassionante, capace di consolidare i temi esposti nei lavori precedenti in maniera incisiva e focalizzata, in un vorticoso melange di dark, punk, new-wave, psichedelia e scorie prog.
     
    Dodici canzoni straordinarie, dal carattere inquietante ed evocativo pur se impregnato di linee melodiche accattivanti, cangianti nella disinvolta convivenza tra differenti culture musicali, ricche di riferimenti (Gun Club, Misfits, The Sisters Of Mercy, The Seeds, Atomic Rooster, il primo Alice Cooper, …) amalgamati in modo da conferire alla “sceneggiatura” generale una notevole personalità propria. 
     
    Le ottime capacità interpretative di Mickey E.Vil conferiscono ulteriore pathos a composizioni tanto estrose quanto orecchiabili, un aspetto evidente fin da "The circus”, un gioiellino di ombroso punk-psych, introdotto dall’irresistibile forza ammaliatrice della breve “Introitus”. Si prosegue con le atmosfere danzerecce di “Rain”, mentre in “I am an eye” il clima si fa più cupo e occulto, con le tastiere di Delirio (anche produttore dell’opera) impegnate a gonfiare di oscuri presagi il cielo sonoro di un brano ancora una volta piuttosto “impressionante”.
     
    L’armonia arcana di “An embalmer’s lullaby Part. 2” precede uno strumentale viscerale e visionario come “Ophis”, e se vi chiedevate cosa c’entra Ruggeri con tutta questa “bella roba” è giunto il momento di scoprirlo … in“Sentymento” la sua voce si combina ad arte con quella Alice Cooper-esca del titolare del microfono, piazzando l’ennesimo “colpo a effetto” di un programma irreprensibile. “Scream again”, con Steve Sylvester e Ain Soph Aour, conferma l’appagante trend attraverso un grumo di conturbante morbosità, “Grey obsession” sfrutta la competenza di Browning, Malley e Grice per confezionare un incantesimo in note rituale ed esotico e “Dusk patrol” ammansisce la furia “demolitrice” di Dolan, il quale diventa il beffardo narratore di un suggestivo e magnetico frammento sonico. I riverberi vaporosi della vagamente Ozzy-ana “Pain” (bello il solo di “Manny” Merigo) e le trame dilatate della liquida “Ubique”, in chiusura, arrivano a completare un livello di seduzione veramente elevato e intenso. 
     
    Una prova oltremodo convincente, un ascolto ideale per gli tutti gli spiriti notturni assetati di creatività.
  • VOTO – 90
    PER CHI ASCOLTA – Hard ‘n’ Heavy…and more
    La definizione più adatta al sound di questo misterioso gruppo,del quale non conosco purtroppo nulla d’altro, è comunque senz’altro e per loro stessa ammissione “Theatrical Rock”. Se la loro immagine si colloca fra Death SS e Atroci, la musica proposta da Mickey Evil on vocals, Priest on guitars, Erik Stayn alle keyboards, Eye Van on bass e Gyorg II on drums, è un micidiale mixing fra
    Psichedelia, heavy prog, doom, dark wave, gothic rock, influenze space e preponderanti componenti pop punk a là Ramones che fungono da collante al tutto. Insomma un quadro assai composito ma piacevole all’ascolto e ottimamente eseguito e se “The Circus” sembra scritta e suonata da Dave Brock and company, la seguente “Rain” è divertissimo heavy rock …and dance! Al contrario la dark and doomy “I Am an Eye” è in equilibrio sommario fra horror music e heavy prog e se “An Embalmer’s Lullaby part two” è dark wave allo stato selvaggio, “Ophis”è il sentito omaggio del gruppo ai Ramones. La tenebrosa “Sentymento” è quasi gothic, nel suo essere immolata sull’altare dei Paradise Lost, con un inedito e comunque credibilissimo Enrico Ruggeri on vocals. La track comunque migliore dell’intero lavoro e senz’altro l’heavy horror spettrale di “Scream Again”.
    Con un’ispiratissimo Steve Sylvester on vocals, spalleggiato dal feroce Ain Soph Aour dei Necromass. Se “Grey Obsession” è heavy prog venato ancora da imputs dark wave impreziosito dal flauto di Martin Grice dei Delirium, l’ipnotica e pesantissima “Dusk Patrol” si fregia delle vocals virulente di Tony ”Demolition man” Dolan dei Venom,  mentre la conclusiva “Ubique” riprende gli stilemi degli Hawkwind, pur con predominanti influenze ancora dark wave. Insomma, un gruppo sicuramente di pazzi, ma assolutamente geniali nel loro essere assolutamente personali pur proponendo musica del passato, presente e …futuro??? La produzione è ottima e l’artwork pure per un lavoro da non perdere assolutamente. 
  • I Mugshots sono uno di quei gruppi che ti mettono in difficoltà. Ogni volta che pensi di essere riuscito ad inquadrarli ecco che ti spiazzano nuovamente.
    Provengono da Brescia, sono attivi dai primi anni 2000 e questo è il loro quarto full-lenght (ma all'attivo ci sono anche alcuni singoli). Il loro sound è un originale mix di hard rock, punk, dark e new wave, con qualche influenza psichedelica e garage, il tutto proposto con un piglio molto teatrale, come certi Death SS o l’Alice Cooper dei tempi d’oro… confusi?? La cosa incredibile è che tutte queste influenze vengono fuse in modo coerente, in un sound che risulta multiforme ma coeso e non particolarmente ostico.
     
     
    In Something Weird sono presenti una gran quantità di ospiti: Steve Sylvester impreziosisce il bellissimo horror rock di “Scream Again”, in cui sono presenti anche le tastiere di Freddy Delirio e le backing vocals di Ain Soph Aour (Necromass), mentre nel decadente pop-wave di “Sentymento” è addirittura Enrico Ruggeri a duettare con uno stravolto Mickey Evil. 
    “The Circus” ha chitarre punk ma anche sintetizzatori memori dei Roxy Music, “An Embalmer’s Lullaby Part Two” è dark wave gotica, mentre la grandiosa “I Am An Eye” è caratterizzata da atmosfere plumbee e orrorifiche, sottolineate da un organo inquietante. “Grey Obsession” sconfina addirittura in territori progressive, con un flauto sognante e percussioni esotiche, Tony “Demolition Man” Dolan (Venom) è protagonista con la sua voce maligna nella breve “Dusk Patrol”, preludio alla meravigliosa “Pain”, lenta e angosciante, con un gran lavoro delle chitarre (ospite in questo brano Manuel Merigo degli In.Si.Dia.). In chiusura lo strumentale “Ubique”, fonde elettronica e dark wave.
     
    Something Weird è un’opera spiazzante ma coraggiosa, affascinante e creativa, che merita di essere ascoltata da chiunque si professi un rocker privo di paraocchi.
     
    8/10
  • “Something Weird” è l’evocativo titolo scelto dagli italiani Mugshots per il loro nuovo album, realizzato con l’idea di ripercorrere tre lustri di carriera in cui la band ha dimostrato di saper praticare parecchi generi con gli stessi ottimi risultati. Sono dodici i brani che compongono "Something Weird”, ed è impressionante il numero di artisti che ha collaborato alla produzione di un disco di pregevole fattura, da Matt Malley dei Counting Crows a Tony "Demolition Man" Dolan dei Venom Inc., fino al nostro Enrico Ruggeri con il quale i Mugshots duettano nella riuscitissima "Sentymento". L’album è stato a più riprese definito “un’opera theatrical rock” perché si tratta dell’esplorazione, a 360°, di un ambiente per il quale i Mugshots rappresentano dei veri e propri punti di riferimento.

    L’immaginario di “Something Weird” è carico di riferimenti al mondo dei fumetti e dell’horror, di richiami agli anni settanta, di darkwave e di hard rock, ma anche di metal e punk. Il risultato è un’opera che riesce a inglobare tutto ciò, in cui si passa dalle atmosfere glam di “The Circus” e “Rain” in apertura a pezzi che disegnano scenari gotici. È con la violenza e l’elettricità del brano successivo (“I Am An Eye”) che, comunque, i Mugshots regalano la prima vera perla del disco. La seconda, quasi in chiusura, è “Pain”, con il suo sound dark. Il quarto album dei Mugshots è il più completo, una sorta di summa di una bella storia che speriamo possa continuare ancora a lungo.

  • I The Mugshots sono italiani, sulla scena da una quindicina di anni, e lo fanno strano. Il rock.
     
    Sotto l'insegna della Black Widow Records, sempre attenta a carpire le pulsazioni più originali che si agitano nel panorama italiano, la band pubblica il nuovo "Something Weird" etichettandolo come "theatrical rock", un termine senz'altro azzeccato. Abbiamo a disposizione un calderone ribollente di varietà sonore, che spaziano con disinvoltura dal punk al prog, al doom, alla psichedelia, con addosso sempre un gusto teatrale, appunto, che recupera le atmosfere horror di Alice Cooper, di Rob Zombie, fino al Rocky Horror Picture Show. E per fare le cose ancora più strane, i The Mugshots radunano nel loro teatro bizzarro una sequela di ospiti, italiani e internazionali, tanto illustri quanto variegati. Ci si stupirà nel trovare tra i solchi dello stesso album, gente come Matt Malley dei Counting Crows, Tony "Demolition Man" Dolan (ex-Venom), Steve Sylvester (Death SS), Martin Grice (Delirium), Manuel Merigo (In.Si.Dia), e addirittura a Enrico Ruggeri. Questo dà la misura del multiforme organismo rock che vive in Something Weird, una rappresentazione senza regole pur maneggiandole e mescolandole con sapienza, le regole.
     
    Il ritmo è accattivante fin dalle prime note, caratterizzate dalle tastiere horror, e sfociante nel riff elettro-punk di 'The Circu', con la voce nasale e sbeffeggiante di Mickey Evil condita da risatine maligne in sottofondo. La successiva 'Rain' ha un approccio alla Ramones di Pet Semetary, per poi distendersi in un viaggio space rock guidato dai synth uniti a un bel basso pulsante, con il ritornello molto accattivante ripetuto in modo ossessivo con la compagnia di una voce femminile. Straniante e malata.
     
    'I Am An Eye' è uno dei pezzi forti del lavoro, un doom lento e romantico dalle tinte goth, dove l'ospite Freddy Delirio impreziosisce il tutto con le sue fughe a cavallo dei tasti d'avorio. Anche qui le melodie tracciate dai The Mugshots sono malate ma decisamente accattivanti, segno di un gusto pop in grado di dare quel tocco vincente alle composizioni. La coda sinfonica si spegne al rintocco di una campana mortifera, e accende 'An Embalmer's Lullaby', anch'essa associabile a un goth tetro e morboso, dove con l'immaginazione possiamo ammirare i Paradise Lost in un cimitero, che si cullano nella depressione suonando in compagnia di Mozart ubriaco all'organetto.
     
    La strumentale 'Ophis' è una dolente marcia rock infettata dai synth, con romantiche pennellate di chitarra e un coro di voci bianche, proscenio a 'Sentymento' interpretata assieme a Enrico Ruggeri, possibile pietra dello scandalo per i meno open mind, ma vera gemma per chi sa affrontare le stravaganze più curiose con il giusto approccio mentale. 'Sentymento' è un pezzo pop-rock dall'atmosfera stregonesca, occulta, e il vocione di Ruggeri si sovrappone a quello di Mickey Evil con la giusta teatralità macabra, che è un po’ la caratteristica di tutto il circo messo in piedi dai The Mugshots.
     
     
    'Scream Again' è la traccia più metal, complice la presenza di Steve Sylvester, e l’interpretazione di Mickey si fa più vicina a quella di un Alice Cooper con venature "nasali" stile Ozzy. La fuga di tastiere, ancora ad opera di Freddy Deliro, accompagna Sylvester nel vortice finale del pezzo, regalandoci sentori di Profondo Rosso e Suspiria.
     
    Poi si capovolge tutto con 'Grey Obsession', un raga dal sapore indiano, molto retrò, impostato dalle ritmiche di Matt Malley e pervaso dal flauto ipnotico di Martin Grice. Cullante, drogato, un tappeto volante che attraversa gli strati siderali dell'Universo. La maligna 'Dusk Patrol' è praticamente un intermezzo, dove troviamo la recitazione infernale di Tony Dolan che si affaccia dai gironi infernali per annunciare il dolore. 'Pain', un’altra squisitezza di "Something Weird", pezzo solido dall'andatura lenta, i Ghost meglio dei Ghost, una distesa di bruma metafisica e horror, gli spettri che solcano i cieli cupi della nostra mente. E l'assolo di Manuel Merigo che sublima il fade out in chiusura è davvero azzeccato. L'ultimo numero di "Something Weird" è la breve strumentale 'Ubique', che ci lascia con il suono di un ECG piatto. Fine, sipario, il teatro chiude per il momento.
     
    "Something Weird" è il titolo perfetto per l’opera in esso contenuta, uno spettacolo multiforme inscenato con ottime capacità strumentali da musicisti navigati che sanno maneggiare le varie forme dell'hard rock, e che non hanno paura di osare. Dischi come "Something Weird" servono, e molto, all’interno di un mercato sempre più guasto e ripetitivo, regalano “un'esperienza d’ascolto”, qualcosa che oggi si va man mano perdendo, perché spesso e volentieri i dischi si esauriscono nel giro di pochi ascolti o finiscono per l’essere un mero sottofondo mentre si fa altro. I The Mugshots propongono qualcosa di strano, sì, ma anche di coraggioso se si ha una mentalità un poco aperta. Per questo il loro spettacolo bizzarro va applaudito e vale il prezzo del biglietto.
  • Prima di commentare questa incisione è d’obbligo inquadrarne anzitutto il genere: Rock, dark, punk, horror, prog. Un rock d’annata, un dark molto poco cupo, un punk di classe per niente grezzo, un horror halloweeniano da zombies a colazione, un prog accennato molto fluido.
    Sarebbe difficile aggettivare lo stile dei bresciani Mugshots con meno definizioni.
    Manca solo il giudizio, personale, parziale o soggettivo che sia, ma comunque quanto più spassionato mi sia possibile: accattivanti, simpatici, bravi, intelligenti e spiritosi.
    Insomma una bella incisione, per la quale sono stati supportati da Freddy Delirio dei Death SS alla produzione e si sono avvalsi di collaborazioni del calibro di Matt Malley (ex-Counting Crows), Tony Dolan (Venom Inc.), Steve Sylvester e di un inedito Enrico Ruggeri alle prese con l’idioma anglosassone, ma comunque riconoscibilissimo nella traccia intitolata “Sentymento”.
    In stile anche la grafica di accompagnamento ad opera di Enzo Rizzi, bravissimo illustratore, già noto nel mondo del comics horror.
    Non prediligo il punk e non sono un appassionato di dark rock eppure l’album mi è piaciuto e non poco.
    L’inaspettato accostamento del punk a certe strutture prog (che è invece il genere che preferisco) è stato invece ciò che mi ha più piacevolmente colpito.
    Insomma ancora una conferma di stile per la Black Widow Records....e quale etichetta poteva essere più azzeccata!!
  • I The Mugshots ritornano sulle scene, forti stavolta della quindicesima candelina spenta nel segno del loro nome. Ne avevamo parlato già ai tempi del breve ma chiaro Love, Lust And Revenge a questa pagina e adesso siamo di fronte ad un album completo non solo per numero di tracce ma per menti e partecipazioni esterne (Steve Sylvester, Ain Soph Aour, Enrico Ruggeri solo per citarne alcuni). Eliminiamo subito i dubbi per chi si avvicina ai The Mugshots per la prima volta: non siete dinanzi ad una band metal, i Nostri preferiscono il rock seppur imbottito da ambivalenti sfumature, puntano sulla teatralità e sulle ambientazioni, su tastiere ed effetti che però, dobbiamo ammetterlo, non tolgono mai spazio alla componente elettrica. Abbiamo parlato di teatralità e come non citare Alice Cooper, non solo per la presenza qui del produttore Dick Wagner storico chitarrista di Cooper, ma proprio per l’intenzione di rendere la musica un recital, un’espressione disegnata per un palco e una rappresentazione artistica che vada oltre il solito contenuto audio.
     
    Anche il termine rock sfuma, e non è solo a causa delle sfumature dance di Rain o degli effetti che compaiono in diversi momenti (affascinante in questo Ubique), crediamo che sia proprio il concetto di songwriting dei The Mugshots ad essere legato ad un’espressione da musical in cui già il degno Alice ha detto tantissimo. Ci arrivano colpi dritti come la strumentale Ophis che attinge prima dal punk rock, poi dalla new wave, o anche l’horror rock di Scream Again, ma pezzi come Sentymento, Grey Obsession o la pinkfloidiana (e bellissima) Pain non celano l’intento di scrivere musica per pochi. Difficile apprezzare al primo colpo i The Mugshots, vanno ascoltati più volte e carpita l’essenza di ciascuna traccia, l’espressione artistica che è stata iniettata nel singolo brano senza dover cercare quel riff o quel chorus a rischio di rimanere delusi. Un album da studiare e da ascoltare con la dovuta calma.
  • Che cos'è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d'esecuzione. Questa la frase celebre di un noto fil della commedia italiana, ovvero Amici Miei di Mario Monicelli. Ma è una frase se pur semplice, talmente forte, che sintetizza in modo perfetto la musica dei The Mugshots, un gruppo ormai ben affermato che già con Love, Lust And Revenge aveva mostrato tracce di genio e talento puro. Something Weird ha però qualcosa in più. I The Mugshots mostrano una preparazione tecnica fuori dal comune, aspetto che influisce nel loro progressive rock riconducibile per certi versi ai Marillion o ai Genesis della Gabriel era, con palpabile tracce di horror rock, dove è nei Death SS la matrice di riferimento, non a caso in Stream Again figura come guest un certo Steve Sylvester. 
     
    E' infatti cosa di non poco conto la presenza di tanti e diversi ospiti in questo album. Freddy Delirio, Andrea Calzoni, Manuel Merigo, Tony Dolan, sono tutti musicisti di grosso calibro, ma quello che colpisce maggiormente è in assoluto Enrico Ruggeri, che con la sua voce rende unico Sentymento, facendo tornare alla mente quell'artista che nei Decibel iniziava a mettersi in gioco, con occhiali scuri e voce di velluto. Il crepuscolare Introitus, introduce The Circus, una via di mezzo tra la fine degli anni settanta e la nuova sperimentazione, con grandi riff di chitarra e melodie attrattive, oltre ad un gran ritornello che ti fa staccare dalla sedia per seguire il ritmo del brano. La medesima atmosfera regna sovrana anche in Rain, che nasconde anche una sottile malinconia, fusa con la voglia dei The Mugshots di sperimentare e provare nuove soluzioni.
     
    I Am An Eye incute timore, paura, riflessione e tracce di sofferenza. Un pezzo dai connotati horror dove fa da padrone la presenza di un ospite di spessore come Freddy Delirio che esplode in trame di prog anni settanta nel suo percorso. An Embalsemer Lullaby Pt.2 per certi aspetti può sembrare un tributo casuale ai The Cure e spiazza tra momenti di puro rock ad altri straordinariamente poetici. Il copione però muta in Ophis componimento più duro e colmo di grandi riff. Si aprono a seguire le porte di Sentymento probabilmente il momento più alto del disco grazie ad un estatico incrocio di voci e chitarre. Altro momento stupefacente di grande spessore è Scream Again, un brano di sano heavy metal dove spicca la prestazione di un Steve Sylvester in gran spolvero. Nella parte finale di Something Weird si riscoprono le tradizioni del progressive rock con Grey Obsession, canzone dall'atmosfera orientale, che vede le apparizioni di Matt Malley, Martin Grice e Mike Browing. Momenti di pura passione giungono con Dusk Patrol, ottima nella sua struttura e nell'arrangiamento ed impreziosita da un grande Tony Dolan, poi è il momento di Pain, uno dei momenti più accessibili ed anche orecchiabili, dove calza a pennello Manuel Merigo come ospite. La voglia di sperimentare e di innovare, sono caratteristiche che rendono unico il sound dei The Mugshot, che chiudono questa opera d'arte con Ubique, ben suonata e coinvolgente nel proprio insieme. Something Weird è prodotto valido, che mostra una band dotata di grande personalità e pronta per spiccare il grande salto anche a livello internazionale.
  • Fra i top dell’annata rock, il nuovo album della horror band bresciana mescola il dark punk degli Stranglers alle influenze hard di Alice Cooper e Blue Öyster Cult, con ospiti da Venom, Counting Crows, Death SS fino a… Enrico Ruggeri e Delirium!
     
    Ruggeri“Televisione, radio, giornali e riviste / vi siete coalizzati per distruggere le menti…”. Ve lo ricordate il giovanissimo Ruggeri platinato che gridava “Che bello, è il lavaggio del cervello” coi suoi Decibel nel ’78? Già, erano gli anni caldi del punk e persino il cantautore milanese stava nell’infernal calderone. Dev’essersene ricordato anche lui di quei wild years, al sommo di una carriera da cantautore mainstream, scrittore, poeta, autore e conduttore televisivo, per aver accettato di prestare la sua (peraltro inconfondibile) grinta vocale a un brano del nuovo album di una band bresciana che urla ancora quell’idioma, ad anni luce di distanza nel tempo e (presumiamo noi) nel mondo di riferimento del Ruggeri attuale. Eppure l’impossibile è accaduto, e il brano (Sentymento, pare che mentre scriviamo il gruppo ne stia girando il video clip promozionale) è anche molto efficace e furioso, per gli standard del Ruggeri maturo. 
    Il quale – grande fan del gruppo bresciano, ci dicono – sul nuovo album dei Mugshots si trova in folta quanto minacciosa compagnia: Steve Sylvester (voce) e Freddy Delirio (tastiere e produttore del disco, nella foto a lato) dei Death SS, Matt Malley (bassista fondatore dei Counting Crows), Tony “Demolition Man” Dolan (bassista dei Venom), qui vocalist in un recitativo dello strumentale Dusk Patrol, Mike Browning (batterista dei death metaller Nocturnus AD, qui al theremin oltre che ai tamburi), insieme ad altri metallari nostrani, come  Ain Soph Aour (dei Necromass), Manuel Merigo (chitarrista dei compaesani In.Si.Dia), Andrea Calzoni (dei pure bresciani Psycho Praxis, hard prog sempre di casa Black Widow), che pennella del suo flauto An embalmer’s Lullaby Part. 2. Per finire con un vero decano della scena prog italiana: Martin Frederick Grice, dal ’72 flautista dei Delirium (in cui mosse i primi passi il giovane Ivano Fossati), che qui contribuisce a Grey Obsession, uno dei brani più originali del disco, con quel suo andamento psichedelico-orientaleggiante servito, oltre che dal flauto di Grice, dal basso di Malley e dal theremin (più percussioni) di Browning. Il quale ne parla (in questo clip di presentazione dell'album) come di un ritorno alle atmosfere di Planet Caravan dei Black Sabbath (io avrei citato una Miss Argentina di Iggy Pop, dal sottovalutato Avenue B, colle sue esotiche tablas), ma insomma l’effetto di distacco da un cliché sonoro quello è.
     
    Perché probabilmente Grey Obsession è anche il brano che si distacca più palesemente dal classico Mugshots sound: quelle radici horror punk/metal, ben piantate nella passionaccia del cantante/tastierista Mickey E. Vil e compagni per Alice Cooper (di cui nel precedente mini Love Lust And Revenge, prodotto da Dick Wagner, compianto chitarrista di Mr Bad Guy (e poi di Lou Reed), rivitalizzavano Pass The Gun Around, brano di Da Da, uno degli album degli ’80 meno amati dai fan dello shock rocker di Detroit. Radici che potrebbero ben spiegare il mazzo di ospiti da varie stagioni del rock duro italiano ed internazionale, ma che i Mugshots filtrano con un’eguale devozione agli Stranglers (con cui hanno anche suonato da supporter in tour), una delle band che ha arricchito la dark wave inglese tra fine ’70 e primi anni ’80 grazie ad una tecnica strumentale raffinata (quell’organo doorsiano di Dave Greenfield), “quasi prog” rispetto alla rozzezza dei tre accordi dell’epoca.
     
    “I feel it inside / There’s no need to hide…” (*)
    Una componente, quella dell’hard rock progressivo anni ’70, marchio di fabbrica dell’etichetta Black Widow che pubblica il disco, verso cui la band è stata guidata ad ampliare la propria tavolozza proprio dal guru di quest’ultima, Max Gasperini, il quale ha avuto il merito d’intuire che le notevoli doti compositive del cantante Mickey potevano esprimersi al meglio aprendosi verso forme sonore più ariose e complesse dello spettro sonoro che appunto va da Alice Cooper a Misfits/Danzig e Ripper. E che infatti ci aveva preannunziato circa un anno fa l’album ancora in gestazione dei Mugshots come un ardito ponte Stranglers/Blue Öyster Cult: due ere, due mondi che si saldano nell’evoluzione di un suono che li metabolizza per spingersi oltre.
     
    Aveva visto giusto: checché noi fan tendiamo a seguire le correnti che ci insegnano a distinguere (Iggy è il pre-punk, Alice Cooper e Blue Öyster Cult sono hard, Stranglers e Misfits punk/wave), i grandi hanno sempre mescolato le carte. Come già si rievocava in un nostro passato articolo, teniamo a mente che Lou Reed fece suonare in Berlin i chitarristi Wagner e Hunter ma anche i fiatisti jazz Brecker, il bassista dei Cream Jack Bruce e il tastierista dei Traffic Stevie Winwood, col batterista zappiano Aynsley Dunbar e il bassista Tony Levin, futuro crimsoniano. Eppure Berlin è il disco in cui si dice che Reed abbia ritrovato le atmosfere dei Velvet. Così come Iggy si è evoluto cantando con l’amico Bowie, che per esempio su Soldier lo affianca insieme ad Ivan Kral (Patti Smith Group), Glen Matlock (Sex Pistols), Barry Andrews (Xtc) e… ai Simple Minds! Eppure lui è sempre Iggy, evolve - oltre il punk e il metal - fino ad ospitare Medeski, Martin & Wood (sul citato Avenue B) e rimane se stesso con Josh Homme (nell’ultimo, sempre valido Post Pop Depression).
     
    Quindi, se siete arrivati fino in fondo al torrenziale excursus, non chiedete “per chi suonano le campane” (a morto) dei Mugshots: come direbbe Hemingway, esse suonano per voi, cioè per dar forma al rock del 2016, di cui Something Weird (che esce in cd e vinile con la copertina fumettistica che vedete in apertura, disegnata dall’horror-comic-rocker Enzo-HeavyBone-Rizzi, del quale qui a lato contemplate una sobria tavola) è sicuramente uno dei dischi da top 10 playlist. Un album svelto e compatto (poco meno di 49’) quanto policromo, in cui i molti ospiti arricchiscono senza strabordare, mostrando di saper uscire anche dai propri cliché. Ma, soprattutto, un album che condensa tutte le sfumature fin qui sviscerate in 12 brani energici, che si fanno ascoltare con piacere “pop” al di là di ogni categoria stilistica prog-metal-punk-wave, come testimonia (da un punto di vista tutto personale) il superamento dello spartano “test-d’ascolto-figlia-18enne-non-metallara”, al cui confronto impallidisce anche il Voight-Kampff test per stanare i replicanti di Blade Runner!
     
    Speriamo che se ne accorgano anche fuor d’Italia, questo è un disco che potrebbe girare bene a livello internazionale. Per gli horroristi navigati (italiani o non), si consiglia l'ascolto insieme alla lettura dell'antologia Il Cimitero dei Vivi di Poppy Z. Brite (Independent Legions)
     
    Mario G
     
    (*) versi da Sentymento, testo di Mickey E. Vil
  • Tornano i The Mugshots di Mickey E.Vil e lo fanno nel modo più spettacolare possibile, ossia con un disco pieno zeppo di ospiti dal pedigree indiscutibile. Parliamo di una lista quasi interminabile: Matt Malley (Counting Crows), Tony “Demolition Man” Dolan (Venom, Venom Inc., Atomkraft), Mike Browning (Nocturnus AD), Steve Sylvester (Death SS), Freddy Delirio (Death SS, H.A.R.EM.), Martin Grice (Delirium), Manuel Merigo (In.Si.Dia), Ain Soph Aour (Necromass), Andrea Calzoni (Psycho Praxis) ed Enrico Ruggeri. “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”, questa pare la filosofia alla base di “Something Weird”, quarto tassello discografico del gruppo, quello che avrebbe dovuto garantire, almeno nelle intenzioni, il definitivo salto di qualità. A mio avviso, però, il disco pur essendo piacevole all’ascolto e abbastanza originale nel suo mixare influenze, non riesce a convincere in pieno. Lo sento, lo canticchio, però appena terminato lo rimetto subito nella mia discoteca accanto al suo predecessore. Alla formula teatrale su cui si basa il songwriting dei nostri manca qualcosa, c’è sempre una sensazione di leggerezza e fragilità trasmessa dei brani. Buone canzoni non mancano, come per esempio ‘I Am An Eye’, ruffiana, accattivante, ripetitiva e allucinante come le gemme più psichedeliche che la Zia Alice inseriva nei propri dischi dei 70. ‘Rain’ si fa apprezzare, così l’oscura ‘Ophis’, però l’intenzione della band di generare quell’orrore pulp (non nel senso post-tarantiniano, ma in quello originale di rivista popolare) da Creepshow non viene quasi mai raggiunto. Ed è un peccato, perché alla fine i The Mugshots nel loro stile panta-horririfico hanno scelto di intraprendere un cammino che ha pochi uguali, perché se i riferimenti stilistici sono i Death SS di ‘Humanomalies’, Rob Zombie, Alice Cooper e lo Scoobi-Doo metal dei Ghost (e perché no, qualche colonna sonora anni 80), Mickey E.Vil li cuce in modo tutto suo e strampalato, ottenendo qualcosa di nuovo ed eterogeneo. Però, come dicevo prima, nonostante i grossi sforzi profusi, manca ancora qualcosa per farci gridare al miracolo. Disco sufficiente, anzi qualcosina in più, ma non di certo quello della consacrazione.

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