Album Reviews: Something Weird

  • Come la creatura che il dottor Frankenstein assemblò con parti rubate a vari cadaveri, anche la musica dei The Mugshots del cantante Mickey Evil si può sicuramente considerare un mostro musicale, composto da svariati spunti stilistici solo in teoria lontani fra loro, ma perfettamente bilanciati e fatti convivere su questa che ha tutti i crismi dell’opera rock, il cui titolo è Something Weird.
     
    Ed all’ascolto dell’album la mia mente ha immagina personaggi bizzarri, come in un luna park di creature da freak show, mentre il sound si trasforma, modellato dai vari generi che si scambiano o prendono il sopravvento ad ogni brano, formando (questa è la mia impressione) una colonna sonora per un horror show decadente.
    I The Mugshots sono in giro da un po’ di anni, provengono da Brescia ed hanno creato qualcosa di unico, valorizzato da una lista di ospiti eccellenti come Matt Malley (Counting Crows,) Tony Dolan (Venom Inc., Atomkraft), Mike Browning (Nocturnus AD), Steve Sylvester (Death SS), Freddy Delirio (Death SS, H.A.R.E.M.), Martin Grice (Delirium), Manuel Merigo (In.Si.Dia), Ain Soph Aour (Necromass), Andrea Calzoni (Psycho Praxis) ed Enrico Ruggeri.
    Prodotta da Freddie Delirio, la musica racchiusa in questo entusiasmante lavoro è qualcosa di unico, bizzarro (come ci ricorda il titolo), perfettamente incastonato in un contesto che, come detto, può essere definito opera rock.
     
    Theatrical Rock Music è l’etichetta coniata per rappresentare al meglio un sound che ci delizia di glam rock, per volare in tutta fretta nello spazio in una jam tra Marc Bolan e gli Hawkwind, ed atterrare poi in un cimitero e tra le tombe trasformarsi in gothic, dark rock e steampunk; ovviamente non manca neppure una componente metal, quella classica e teatrale di Death SS e Alice Cooper, intrise di atmosfere horror da film di serie b, brividi in bianco e nero, da molti ormai dimenticati.
    Gli ospiti sono quel tocco in più per rendere il tutto spettacolare nella sua attitudine underground, con addirittura Enrico Ruggeri che dà il suo apporto alla traccia gothic metal Sentymento.
    Non c’è un solo brano che non sia pervaso da un approccio originale, teatrale e io aggiungerei da musical, specialmente nei brani dove la parte dark gotica lascia spazio al glam/space/punk /rock di The Circus e Rain, mentre la creatura musicale rappezzata da lunghe e profonde cicatrici che tengono insieme i pezzi si rivitalizza con scosse di elettrico rock/metal, piazzando una serie di brani capolavoro come I Am Eye, Scream Again e Pain, con le sue le melodie dark rock.
     
    Un album che si rivela una continua sorpresa anche dopo ripetuti ascolti, un’esperienza musicale che ha tutti i crismi del lavoro di livello superiore, da avere e custodire gelosamente.
  • "Something Weird" è la nuova fatica discografica del quintetto di Brescia The Mugshots pubblicato per la Black Widow Records che segue tutta una serie di progetti dislocati tra compilation e Demo, alcuni autoprodotti ed altri sotto label italiane e non. La band propone un genere Alternative Rock dalle sonorità americane vecchio stile calcando un pò artisti di spicco come Alice Cooper, Joy Division, The Misfits, per citarne alcuni con l'abilità di aver aggiustato il tiro regalandoci un sound innovativo alla portata di tutti. Atmosfere ruvide contornate da una serie di contributi elettronici e tastiere rendono il progetto meno cupo e darkeggiante.
    Dodici tracce dalle intenzioni decise, che hanno l'obbiettivo di andare dritto al punto senza troppi complimenti, una linea vocale non sempre presente rende questo nuovo lavoro a tratti strumentale ma mai pesante e noioso. Un sound facile e diretto con spunti melodici "Scream Again", "Grey Obsession" ben assestati. Atmosfere energiche si possono apprezzare su tracce come The Circus, Ophis e altre. In sintesi, "Something Weird" è un cd che scivola bene, frutto di intesa tra i musicisti e buon tecnicismo dei singoli. Una band maturata con il tempo e dalle infinite risorse, a nostro modo di vedere e ascoltare!!
    Voto 75/100
     
  • Progetto davvero curioso e coinvolgente questo degli italiani Mugshots pubblicati dalla sempre attenta Black Widow: la loro musica ci viene presentata sotto l’etichetta “Theatrical Rock Music”. Ascoltando il disco non si può a fare meno di notare che questa definizione non sia in effetti fuori luogo. In realtà già il titolo del’album Something Weird ben introduce le atmosfere che andremo ad ascoltare: “weird”, nel senso di bizzarro, strano e coinvolgente è il termine che ritengo piu’ calzante per etichettare la musica dei Mugshots.

    Sicuramente ci sento l’energia del punk dei Ramones e dei Gun Club e del vecchio garage-punk dei ’60. Ma, in realtà, la musica è all’insegna dell’eclettismo piu’ sfrenato e possiamo così ascoltare ambientazioni space-rock, prog e gothic-rock senza che venga mai meno la coesione. Molto sorprendente è poi la presenza degli ospiti: troviamo infatti personaggi carismatici come Steve Sylvester, Tony ‘Demolition Man’ Dolan, Freddy Delirio assieme ad Enrico Ruggeri! Il celebre cantante presta la sua voce in “Sentymento”, una traccia molto gothic-metal.

    Altrove le atmosfere sono meno oscure e si avviciano alla psichedelia come nela travolgente “The Circus”. Le onnipresenti tastiere riescono a dare un tocco prog anche in pezzi decisamente rock e tirati come “Rain” e l’orrorifica “I Am An Eye”, caratterizzata dalla tastiere maquiloquenti e oscure di Freddy Delirio. Da segnalare anche la tiratissima “Ophis”, suonata solco del punk piu’ energico ma inframmezzata da momenti piu’ pacati e d’atmosfera vicini al prog. Nel complesso Something Weird si rivela un ottimo disco, molto coinvolgente che mi sento di consigliare caldamente agli amanti del  del gothic-rock, del dark e della psichedelia.

  • I Mugshots, in circolazione dal 2001, fondono in maniera sorprendente hard rock, progressive, dark wave inglese e doom, con ambientazioni horror degne di certa fantascienza americana d’annata. Il loro è un vero sincretismo musicale, con influenze ed ispirazioni varie, che scorrono liberamente fra le dodici tracce di Something Weird, senza mai fossilizzarsi in un’unica direzione stilistica. Sfuggire alle definizioni pare essere la regola del gruppo, sorto, del resto, come incrocio tra lo shock rock di Alice Cooper e il punk sofisticato e barocco degli Stranglers. I Am an Eye è un omaggio a Philip K. Dick: un gothic metal cadenzato e molto romantico, con atmosfere di synth che possono ricordare i Paradise Lost. Rain e Dusk Patrol – quest’ultima vede ospite Demolition Man dei Venom – sono più orientate sullo space rock, di marca Hawkwind, mentre Sentymento si segnala per la crepuscolarità del suo pathos melodico. Scream Again, con Steve Sylvester alla voce, ci riporta su lidi più occult-metal, sempre all’insegna di una grande qualità musicale e con sapori affascinanti quanto compositi. Grey Obsession, con il suo flauto in bella mostra, è invece una sorta di inno onirico. Domina, quasi ovunque, la componente teatrale: gli scenari musicali mutano di continuo forma, le aree stilistiche attraversate sono molteplici, l’opera dei Mugshots è variegata e multiforme. Il risultato finale mostra così un’attitudine libera, accattivante e fresca: è qualcosa di fantasioso e di fuori dai canoni abituali, eppure ancorato alla tradizione. Impressionante, poi, è il numero degli ospiti coinvolti: cito soltanto, oltre a Demolition Man e al leader dei Death SS, Martin Grice, Enrico Ruggeri e Freddy Delirio alle tastiere, il cui apporto è importantissimo per la riuscita finale di questo eccellente lavoro.

  • A distanza di tre anni i The Mugshots rilasciano il loro nuovo album, Something Weirdancora una volta per la Black Widow Records.
    L’album costituisce una svolta legata alla maturità musicale della band, sintetizzata dal pieno possesso degli aspetti compositivi, influenzati precedentemente - e positivamente - dall’opera diDick Wagner.
    L’attore principe è il leader della band Mickey E.Vil, coadiuvato dai suoi naturali compagni di viaggio e dall’alchimista Freddy Delirio che, oltre al contributo tastieristico, si è occupato con pieno successo della produzione.
     

     
    Sono dodici i brani che compongono un disco costituito da liriche di peso, dove l’argomento “morte” emerge ad ogni angolo, trattato come rappresentazione del quotidiano con la voglia di entrare nelle pieghe utilizzando un taglio psicologico, mischiando la didattica alla voglia/necessità di esorcizzazione. A fare da complemento e da cornice agli aspetti concettuali troviamo un sound variegato, che segue gli amori e le esigenze musicali della band, e che contribuisce a realizzare scenari distopici che si trasformano in singoli movie, brano dopo brano.
    Se è consolidata l’idea che all’interno della sfera progressiva sia possibile trovare ogni tipo di sonorità e la libertà sia elemento imprescindibile, si può anche affermare che, in questo caso, il “noire” che salta fuori nel susseguirsi degli episodi abbia delle precise connotazioni metalliche, ed emerga fortemente il concetto di “punk”, non tanto per l’assonanza musicale ad un genere passato, ma per l’idea di rottura degli schemi, di cambiamento, di tentativo di trovare una via del tutto nuova, rimanendo all’interno dell’ortodossia.
    Gli aspetti teatrali, gli ipotetici commenti da movie e l’efficacia dell’artwork, sono il pane quotidiano di questa giovane e sorprendente band che lascia largo spazio all’interazione tra visual e atmosfere, come è testimoniato nel video a seguire.
    La strada intrapresa richiede coraggio, ma credo che la soddisfazione principale per chi fa musica propria sia la creazione di un’identità precisa, una riconoscibilità che significa distinzione e quindi originalità.
  • The Mugshots sono italiani, ma si formano a New York City nel 2001, durante una visita alla città. Il loro nome è stato ispirato dall'album DaDa del 1983, di Alice Cooper.
    "Something Weird" è il quarto album di The Mugshots, band che suona musica che parte dal rock per sconfinare verso il post punk, la new wave e il rock duro.
    Dalla copertina di Enzo Rizzi si evince l'amore per i fumetti, dai testi traspare la passione per l'horror e le musiche oscure. Daltronde l'etichetta "Black Widow Records" è un segno distintivo.
     
    Molti gli ospiti, tra cui vorrei citare Enrico Riggeri che canta sulla convincente "Sentymento" e Steve Sylvester dei Death SS che canta su "Scream Again". Gli altri ospiti li potete leggere nelle note.
    L'intro "Introitus" mi ha ricordato gli Stranglers: il loro connubio tra chitarra e tastiere, è il carattere distintivo della band, ed è presente in quasi tutti i brani. Un po' fuori dal contesto "Grey obsession", psichedelica ed introspettiva, nel suo ritmo rallentato e rarefatto.
    Interessante l'idea di diversificare le voci con l'utilizzo di diversi cantanti e filtri sulla voce.
    "Something weird" è un lavoro interessante per gli appassionati del genere rock con connotazioni post punk, accenni prog e memorie wave.
     
    Il cd ha la classica confezione jewel box di plastica, con un libretto interno di 16 pagina dove sono presenti i testi dei brani. Bella la copertina e il retrocopertina.
  • "Qualcosa di bizzarro" è un titolo azzeccato. Sono bizzarri i nomi dei musicisti, è bizzarro l'artwork ed è abbastanza bizzarra la musica, anche se agli ascoltatori appena più smaliziati non causerà troppe difficoltà. I Mugshots sono musicisti italiani celati dietro identità di fantasia (Mickey E. Vil, Eric Stayn, EyeVan, Gyorg II, Priest), autori di un disco fantasioso e dotato di una precisa identità con riferimenti vari e non scontati che spaziano dal punk all'hard rock, alla new wave e al progressive (anche se in maniera piuttosto collaterale). Durante l'ascolto mi è parso di cogliere echi evidenti di Black Sabbath, Hawkwind, Motorhead e persino Rush. Un'atmosfera da horror rock aleggia nei brani, e non a caso l'album è prodotto da Freddy Delirio-Federico Pedichini, tastierista dei Death SS.

    Di che tipo di album si tratta lo si capisce dopo il breve strumentale introduttivo, che ha il compito di preparare la strada a due brani serrati che si succedono senza respiro né soluzione di continuità. "The circus" e "Rain" sintetizzano in poco meno di dieci minuti una dichiarazione d'amore verso i ritmi ossessivi della batteria, del basso e delle chitarre elettriche, lanciati a testa bassa a spianare la strada, con Hawkwind, punk e psych-rock principali ispiratori e le tastiere ad arricchire con linee melodiche e sequenze gli arrangiamenti. "I am an eye", con ospite alle tastiere Freddy Delirio, ha un inizio cadenzato che sottolinea le atmosfere orrorifiche prodotte dall'organo e dai suoni di campane ma cambia a metà svolgimento per lanciarsi in una cavalcata hard rock. Ci sono poi alcuni brani costruiti in maniera più semplice, basati sul groove costruito dalla sezione ritmica su cui la chitarra tesse riff e accordi per creare una sorta di muro sonoro su cui fa sempre breccia uno stacco o un rallentamento in cui qualche arpeggio o una linea melodica suonata dal synth spezzano la tensione. È il caso di "An embalmer's lullaby part two" e di "Sentymento", notevole anche per la presenza come ospite alla voce del cantautore Enrico Ruggeri. "Ophis" è un tiratissimo strumentale che deve molto allo stile dei Motorhead, con un intermezzo melodico e belle colorature create dalle tastiere. "Scream again", con ospiti Freddy Delirio e Steve Sylvester dei Death SS, "Dusk patrol" e "Pain" giocano molto sulle atmosfere dark, tra momenti malinconici e improvvise esplosioni sonore guidate dalla chitarra e dalla voce. Più inconsuete "Grey obsession", nenia hippie immersa nei fumi psichedelici di percussioni, chitarre acustiche ed il flauto di Martin Grice (il basso fretless è invece suonato da Matt Malley, fondatore dei Counting Crows), e la conclusiva "Ubique", altro strumentale guidato dai synth e dalla struttura più rilassata.

    I Mugshots sono in attività da parecchio tempo, e si sente. "Something weird" ha un suono che deriva dell'esperienza e dalla voglia di divertirsi, nonostante le sue atmosfere siano spesso sinistre e ossessive. Mi è parso di avvertire una sorta di umorismo nero trasudare dalle note, che si accompagna bene alla grafica in stile fumettistico disegnata da Enrico Rizzi, noto per aver illustrato, tra l'altro, una storia della musica metal a fumetti. L'album è in sostanza un ottimo esempio di musica scritta per coinvolgere l'ascoltatore grazie al mix di atmosfere che piacerà in maniera trasversale gli estimatori di hard rock, psichedelia, punk, new wave, e progressive. Scusate se è poco!

  • Non so bene cosa sia quel “Theatrical Rock Music” sotto il quale viene consigliato di catalogare questo album, ma vi posso garantire che il titolo è la descrizione migliore: Qualcosa di strano! Tanto, molto, dannatamente strano… ma super fico, eccitante, coinvolgente. La ricetta? Più che di una ricetta parlerei di un intruglio per una pozione magica senza tempo e senza regole, dagli effetti collaterali non prevedibili. Ingredienti? Parlare di ingredienti è un po’ riduttivo, ma un buon sommelier potrebbe più o meno dichiarare: “Caldo, complesso, strutturato ma equilibrato nella potenza, supporto all’acidità, profumi di Hawkwind, al gusto è diretto come i Ramones, al naso note di Orne e Sam Gopal, terziari dance, occult metal, italian prog, alternative rock”. Vi sembra un miscuglio? Lo è! Ma è un miscuglio geniale. Davvero, vi garantisco che è maledettamente geniale! Però non basta. Quiz del giorno: cosa potranno mai avere a che fare Steve Sylvester e Tony “Demolition Man” Dolan con… Enrico Ruggeri? Semplice, li troverete in “ Something Weird”! 
    Questi pazzi dei Mugshots (che sono in giro da quindici anni) sono riusciti ad attirare una gamma di guests tale da far invidia a progetti come Avantasia e Ayreon! Dodici traccie, dodici capitoli poderosi. “Introitus” -l’intro- in un minuto ed un quarto rinchiude ansia e dramma, groove di basso supremo, poi festa, allegria, trionfo, il tutto convergente verso il psichedelico. Bene. Ed è solo l’inizio, mancano quarantasette minuti abbondanti. “The Circus” sembra scritta da Dave Brock e suonata dai suoi Hawkwind. Epica e trascinante “Rain”, un brano così rock che riesce a sfociare nel dance d’epoca… sembra una reincarnazione moderna e schizoide dei Bee Gees. Freddy Delirio è guest sulla dark-doomy “I am an Eye”, un incrocio tra horror music e riff in stile Iommi, con la direzione prog marcatissima, tanto che ci sento pure i finlandesi Orne. Andrea Calzoni dei Psycho Praxis è l’ospite sulla tetra “An Embalmer’s Lullaby Part. 2”, un brano con una impronta rock/dark wave irresistibile. Inno prog/eighties ai Ramones con “Ophis”, mentre una versione dark metal della voce di Enrico Ruggeri si materializza sulla criptica “Sentymento”. Se le tenebre non fossero ancora sufficienti, allora la stupenda “Scream Again” tinge tutto di nero, di decadenza, di lasciva malvagità: ovviamente nel brano l’oscurità eterna è evocata da personaggi come Steve Sylvester, Freddy Delirio e… Ain Soph Aour dei Necromass con il suo growl selvaggio! Sam Gopal (si, ci suonò Lemmy milioni di anni fa) lo trovate su “Grey Obsession”, brano che ospita Mike Browning (Nocturnus AD), Martin Grice (Delirium) e Matt Malley (Counting Crows), mentre Sua Dannazione Demolition Man offre una performance superba sulla lenta, ipnotica e riflessiva “Dusk Patrol”. In chiusura “Pain”, melodia pura con Manuel Merigo degli In.Si.Dia. e “Ubique” overo qualcosa si spaziale, di ultra terreno, di astrofisico sulla scia degli Hawkwind incrociati con un dark ambient più moderno.
    Dodici tracce lontane dalle regole, capaci di prendere qualsiasi cosa vi sia passata per le orecchie e frullarlo in una soluzione liofilizzata di energia esplosiva. Geni? Certo, però credo che questi cinque siano completamente pazzi. E questo loro disco è totalmente fuori di testa, tanto che non appartiene ad alcun genere, pur appartenendo a tutti (passati, presenti e futuri). È tutto così assurdo. Tutto così stranamente sbagliato. Però, in verità e sincerità, quando qualcosa è così sbagliato… di solito… mi eccita e mi fa impazzire!
    (Luca Zakk) Voto: 10/10
  • Attivi da circa quindici anni, i Mugshots tornano con la Black Widow Records e con “Something Weird”, nuovo ed ottimo album molto interessante e da scoprire brano dopo brano e ascolto dopo ascolto. Nel sound di questo nuovo lavoro della band, ci sono varie sfumature musicali, c’è l’hard rock, il metal, il rock progressivo, il doom e il dark e anche molta teatralità, ma non solo ci sono una serie di ospiti illustri che vanno da impreziosire i vari brani e parlo di Freddy Delirio, di Steve Sylvester, di Andrea Calzoni, di Martin Grice, di Enrico Ruggeri e tanti altri. “Introitus” è un breve strumentale molto progressivo e “The Circus” è hard rock molto teatrale e non può non venire in mente l’Alice Cooper degli anni settanta e a seguire c’è “Rain”, che sembra proseguire il tema musicale del precedente brano, ma ci sono più tastiere e influenze di rock progressivo. A seguire c’è “I Am An Eye”, ottimo brano di doom metal venato di prog e in “An Embalmer’s Lullaby Part Two” aumentano le atmosfere progressive. 
     
     
    Ci sono altri ottimi brani come “Ophis”, ottimo strumentale tra hard rock e heavy metal e caratterizzato da duri riff di chitarra e ancora come “Sentymento”, brano che stavolta ha una sola parola per definirlo, ROCK. Vanno menzionati anche gli altri brani come “Scream Again”, psichedelico e gotico, con voce femminile e piacevoli tastiere e come “Grey Obsession”, dove rimane la psicadelia ma si aggiunge un flauto ed un po’ di musica mediorientale. La parola progressive assume sempre più significato nei successivi brani, “Dusk Patrol” è molto atmosferico, “Pain” è completo, progressive, hard rock, melodie avvolgenti, un gran bel guitar solo ed un cantato molto melodico e “Ubique” è un bellissimo strumentale tra rock progressivo e space rock. Bello, impegnativo, avvolgente, curioso e ricco di fantasia, tutto questo è “Something Weird”.
  • Quando un disco è estremamente eterogeneo mette in difficoltà chi ne deve scrivere. Parliamoci chiaramente: prima di tutto è difficilissimo che un disco che pesca a piene mani da molteplici generi mantenga una qualità elevata e omogenea, e secondariamente mette praticamente il redattore di turno con le spalle al muro. Come parlarne se non con un (noiosissimo) track by track? Ho la fortuna di collaborare con devi veri pesi massimi del giornalismo italiano e quindi da buon “apprendista” sono subito corso da una di queste colonne (quanti giornalisti metal italiani si possono ad oggi, considerare “storici”? Quattro? Cinque?) che mi ha consigliato di essere “creativo”. Lo deluderò, perché questo disco mi ha così confuso da inibire ogni mia fantasia, tanto sono dovuto restare concentrato sui continui salti stilistici che questi The Mugshots compiono tra i solchi digitali di questo CD intitolato ‘Something Weird’. E gli ospiti presenti in questo lavoro? Lasciamo perdere: un party di musicisti provenienti dalle più disparate realtà musicali. Insomma ci facciamo coraggio e proviamo a spiegarvi qualcosa di questo disco?

     

    Prodotti da Freddy Delirio (Death SS) i Nostri hanno come unico comune denominatore una certa musicale teatralità, sopratutto nel cantato particolare di Mickey E. Vil, sempre a cavallo tra un approccio punk e un cantato personalissimo che in più frangenti ricorda una sorta di ibrido tra Alice Cooper e l’altrettanto iconico Steve Sylvester. Per il resto che dire? Il… “resto”? Il resto è tutto e l’opposto di tutto: una ‘The Circus’ che ricorda i The Clash, ‘Rain’ che non può portarci alla mente che un certo sound dark ottantiano influenzato dal POP da classifica. Freddy Delirio presta i suoi tasti d’avorio per la terza traccia intitolata ‘I Am An Eye ‘, pure horror-prog, con il singer che “arrotonda” maggiormente la propria voce, rendendola maggiormente calda e profonda. Qui c’è di tutto, doom settantiano e dark metal, dark rock e un pizzico di progressive nell’ instancabile tappeto tastieristico di Freddy. Per quanto mi riguarda la palma come miglior pezzo del lotto è la bellissima ‘Sentymento’, canzone che ospita il mitico Enrico Ruggeri e che è uno splendido connubio tra i Decibel di ‘Contessa’ e il rock all’avanguardia di band come i Bluvertigo più sperimentali e “spaziali”. Come si prosegue? Con Steve Sylvester, Manuel Merigo degli In.Si.Dia, Mike Browning dei Nocturnus, Tony Dolan dei Venom Inc. e molti, moltissimi altri. La cosa ulteriormente spiazzante è che la band non usa poi in modo scontato tutti questi personaggi: è vero che ognuno di loro fa quello che sa fare meglio, ma calato in un contesto spesso spiazzante. Ecco che se allora (ad esempio) sperate di sentire sonorità progressive death nel pezzo che vede la partecipazione di Browning… bhe… resterete delusi, visto che il brano intitolato ‘Grey Obsession’ sembra estrapolato da quel capolavoro che risponde al nome di ‘Viaggio Senza Vento’ (Timoria, PolyGram, 1993).

    Come avrete capito “eterogeneità” qui è la parola dominante ma… la qualità? Non possiamo scrivere che la qualità sia alta e costante, con alcuni brani che non ci hanno convinto (quando la band si lascia andare alle proprie influenze punky e “caciarone”) e altre che invece – a detta di chi vi scrive – andrebbero esplorate e approfondite. Il flavour dark rock, con quelle fughe strumentali auliche e l’approccio vocale istintivo e caratterizzante sono ciò che ho apprezzato di più, con quelle montagne russe musical temporali che ci portano avanti e indietro nel tempo. Che dire ancora? Nella mia mente malata vedo la band cantare in italiano e proporre finalmente un qualcosa di nuovo e unico nel panorama tricolore. Ma forse sto esagerando nell’essere “creativo”.

  • C'è veramente qualcosa di strano ("Something Weird") nel progetto inedito targato The Mugshots. E' partendo dalla fumettistica copertina di Enzo Rizzi (quello degli albi Heavy Bone per intenderci) che inequivocabilmente si intuiscono le stravaganti velleità del quintetto bresciano; il cruento accostamento tra il ritratto in bianco e nero della band, il pietrificatore di Lodi Paolo Gorini e il killer clown John Wayne Gacy sintetizzano l'omaggio alla controversa spettacolarità dell'icona ispiratrice Alice Cooper, preannunciando le teatrali ed oscure vocazioni di Mickey E.Vil (voce e synth), Erik Stayn (tastiere), Eye Van (basso), Gyorg II (batteria) e Priest (chitarre). Scorrendo la scaletta ci accorgiamo che i confini sonori della band non si limitano alle solite trame heavy-gothic ma si addentrano decisamente in contesti più complessi rimandando a risonanze dai tratti psichedelici, progressivi e rabbiosamente punk.

    Sotto la produzione artistica di Freddy Delirio (Death SS, H.A.R.E.M.), per la realizzazione di questo terzo album The Mugshots chiamano a raccolta una significativa schiera di musicisti. Tra i numerosi contributi presenti, si apprezzano le incursioni del fletless dell'ex Counting Crows Matt Malley e del flauto di Martin Grice dei Delirium nella lisergica Grey Obsession, le evoluzioni canore di Steve Sylvester (Death SS) in Scream Again e quelle di Enrico Ruggeri in Sentymento. In tutto dodici tracce, di cui tre strumentali, composte in toto da Mickey E.Vil –estroso autore tra l'altro di apprezzati soundtracks di pellicole indipendenti canadesi- tra le quali vale la pena menzionare I Am an Eye (con Delirio alle tastiere) e la hard ballad Pain nella quale è presente un cameo del chitarrista Manuel Merigo dei metallici In.Si.Dia.

    “Something Weird” è un mugcaleidoscopio dai caotici colori rock che sorprende per ispirazione ed energia. Tastiere sugli scudi, riff potenti e ritmiche arrembanti caratterizzano un album che difficilmente consente distrazioni all'ascoltatore di turno. Un tourbillon emozionale di difficile catalogazione tanti appaiono i pertugi sonori aperti e chiusi nel suo istrionico svolgimento. Una prova divertente e convincente; decisamente qualcosa di stranamente interessante. Voto: 7/10

  • Gli italiani The Mugshots nascono ufficialmente nel 2001 dalla mente del cantante Mickey E.Vil. In tutto questo tempo non sono mancate diverse soddisfazioni non da poco, come il vanto di essere stati prodotti dal guru Dick Wagner (Alice Cooper, Lou Reed). “Something Weird”, il nuovo disco della formazione tricolore, porta avanti un hard rock tinto di venature dark, metal, punk, new wave ed amplificato da una fortissima componente teatrale. Una canzone come “The Circus” infatti richiama subito il seminale Alice Cooper, qui tributato con grande enfasi a cui si aggiunge un sound moderno con spruzzate di elettronica molto accattivanti. I synth dominano la successiva “Rain”, una bella commistione tra pop anni Ottanta e rock duro, molto godibile all’ascolto. Con “I Am an Eye” troviamo un po’ di Death SS, il sinistro organo si staglia poderoso sul brano, che colpisce per quel gusto progressive rock anni Settanta che qui viene reso più attuale grazie alla buona produzione di Freddy Delirio. Su questo disco appaiono un sacco di ospiti, famosi ed anche inusuali, ma questo calderone così variegato funziona molto bene nell’insieme:  da Tony Dolan (Venom Inc.) a Steve Sylvester, da Matt Malley a Enrico Ruggeri. “Sentymento”, che vede proprio la partecipazione di quest’ultimo, è un ottimo esempio di dark rock, “Scream Again” invece unisce metal a momenti più psichedelici, si tratta di uno dei pezzi più pesanti e classici dell’intero lavoro (grazie anche alla presenza di Freddy Delirio, Steve Sylvester e Ain Soph Aour dei Necromass). Oggi stupire, scioccare, lasciare a bocca aperta è davvero difficile perché si è visto e sentito di tutto e questo vale anche per la proposta dei The Mugshots che, per quanto pregna di enfasi e teatralità, non arriva a far ribollire il sangue nelle vene. Ciò non vuol dire che ci troviamo di fronte ad un lavoro privo di emozioni, anzi. La qualità, le idee, il gusto per i suoni, gli arrangiamenti, tutto è stato curato con grande dovizia ed il risultato si sente. “Something Weird” si conferma una proposta molto variegata ed interessante, per apprezzare al meglio i nuovi brani di The Mugshots non bisogna avere la mente chiusa: un ascolto aperto e senza paraocchi è ciò che serve per gustarsi appieno questa musica.
  • La disperazione di vivere in un mondo musicale fatto di migliaia di band inutili affligge tanti ascoltatori e ancora di più gli addetti ai lavori. Album a centinaia tutti i mesi, tra i quali però diventa sempre più difficile muoversi e sempre più difficile cogliere il valore aggiunto di quel bene prezioso che è la personalità, unico vero elemento capace di fare la differenza nell’eterna diatriba tra innovazione e conservazione. Perché l’originalità a qualunque costo è noiosa almeno quanto la totale assenza di innovazione, se non c’è l’elemento della personalità unito a quello dell’ispirazione, a fare la differenza. E’ per questo che a volte arriva l’urlo del recensore di fronte all’ennesimo album uguale a se stesso, magari anche ottimamente confezionato, ma privo di una qualunque utilità. Un urlo che non sempre viene percepito come necessario anche dagli appassionati, ai quali tutto sommato un disco ben fatto interessa di più che uno che aggiunga una nuova pagina al libro della musica e non si limiti a sillabare continuamente quanto già scritto da altri. Eppure, un bisogno di spostarsi avanti esiste e se proprio non si riesce ad andare avanti, piuttosto che rimanere fermi, è quasi meglio tornare indietro in questa lettura. E’ per questo che, a volte, dischi che poi col tempo rivelano la propria debolezza, vengono sul momento premiati oltre le proprie intrinseche qualità, magari perché hanno effettivamente qualcosa da aggiungere o piuttosto perché pur riportando la lettura indietro di qualche pagina, aggiungono una interpretazione diversa a quanto già codificato in passato. Insomma, la chiave offerta dalla personalità, in musica, apre o aprirebbe davvero tante porte e renderebbe più interessante anche un qualcosa di già noto, se ben utilizzata.
    Ecco quindi come calare nel contesto di questo discorso la nuova uscita per The Mugshots, band italiana ormai da diverso tempo in pista e autrice del proprio quarto album, uscito a fine 2016 per la sempre attenta Black Widow Records. La band si è scavata una propria nicchia nel tempo riuscendo a legare il proprio nome a quello di una leggenda come Dick Wagner, attirando l’attenzione grazie ad una proposta piuttosto particolare e molto caratterizzata. Al centro di tutto, l’amore per tematiche horror e gotiche, gli anni settanta, i fumetti e un immaginario musicale che parte dal post punk/dark/new wave, fino all’hard rock, allo shock rock e all’art rock. In questo ampio spettro, nel quale il Rocky Horror Picture Show convive con Bela Lugosi e i Freaks di Tod Browning, Alice Cooper, gli Stranglers e i Tubes, e nel quale quindi l’immaginario gotico e grandguignolesco sposa un anticonformismo del tutto slegato dal contesto musicale attuale, la band trova una sua dimensione in continua evoluzione.
     
    Something Weird è un disco palesemente ambizioso: anzitutto, nell’ampio pastiche musicale messo in opera, che tocca contesti anche lontani tra loro, mantenendo sempre un approccio dark e grottesco, molto Creepy o Racconti dall’Oltretomba, se preferite. In secondo luogo, per il grande dispiego di collaborazioni, che vanno da Freddy Delirio e Steve Sylvester (Death SS), a Martin Grice, Mike Browning (Nocturnus), Tony Dolan (Venom Inc.), Manuel Merigo (In.Si.Dia), Ain Soph Aour (Necromass) e via discorrendo, senza dimenticare la preziosa partecipazione di Enrico Ruggeri. Infine, per il curatissimo packaging del disco, con la copertina opera del ben noto Enzo Rizzi, perfettamente calato nella realtà della band. Un grande dispiego di forze a cui fa da contraltare la musica della band, interamente composta dal band leader Mickey Evil. Attingendo a piene mani da questo vasto background e dotato di un tocco retrò sempre ben presente, l’album ben si presta ad essere apprezzato da una platea trasversale, ma corre il forte rischio di risultare fin troppo eterogeneo, offrendo una visione multisfaccettata, ma al contempo un po’ fuori fuoco. Al senso di disorientamento contribuisce l’interpretazione di Mickey Evil, il quale, forse alla ricerca di una propria cifra artistica, finisce per scegliere spesso un cantato caricaturale e grottesco, quasi da fumetto, ma con una evidente interpretazione maligna e perversa, come una sorte di folle clown che distorce la propria voce per impaurire i bambini, e che raramente riesce però a donare davvero qualcosa al brano, risultando spesso velleitaria e fine a se stessa. Come anche nell’uso continuo dei sintetizzatori, sembra che si sia voluto mettere fin troppo nella ricetta, senza per questo venire a capo con un piatto coerente e gustoso, quanto piuttosto con una gran quantità di sapori, magari anche buoni presi di per sé, ma non per questo soddisfacenti una volta messi insieme. 
    Quanto detto non vuol significare che Something Weird sia un brutto disco e certo non si potranno accusare i The Mugshots di difettare in creatività e voglia di stupire e coinvolgere l’ascoltatore. Il lavoro di stratificazione ricercato non va affatto a guastare l’approccio rock della band e anzi è evidente come il tentativo di incastrare le diverse sfumature riveli una cultura non solo musicale molto ampia e solida e una capacità di costruzione dei brani fervida di soluzioni e accostamenti felici negli intenti. Al tempo stesso, l’immaginario di riferimento è talmente noto e abusato che pur risultando simpatico e piacevole, difficilmente riesce davvero a stupire o a farsi apprezzare per l’originalità. Il circo maledetto che apre l’album dopo il breve intro è l’esempio forse più eclatante in tal senso e la sua promessa di morte e dannazione per il pubblico accorso risulta un poco stantia e di scarso effetto, pur nella sua convinta e riuscita trasposizione musicale. In particolare, sin dall’introduzione è il basso di Eye Van a scandire le danze, assieme ai sintetizzatori e in seguito alla chitarra elettrica, mentre in Circus l’influenza post punk è evidente ed Evil invita il pubblico a prendere posto con una melodia quasi cantilenata; è però solo nella seconda parte dopo il classico break con le risate psicotiche e la voce declamatoria del “direttore del circo”, che il brano prende davvero il via, con tutti gli elementi al loro posto, risultando nel complesso un buon avvio di album. Purtroppo molto più anonima la seguente Rain, anch’essa legata ad una forma riconducibile al post punk, ma tutto sommato innocua, pur non risultando sgradevole e con un Mickey Evil molto più interpretativo e coadiuvato dalla seconda voce di Francesca Scalari. Deciso cambio di passo con la seguente I Am an Eye, che distrattamente potrebbe anche passare per un brano dei Ghost, con l’organo a intessere il proprio marchio su un tipico giro doom tombale, con tanto di campana in sottofondo e una seconda parte più movimentata e rockeggiante. An Embalmer’s Lullaby Part Two prosegue la buona vena del disco, stavolta con un buon connubio delle varie componenti strumentali e i sintetizzatori che sottolineano e amplificano il mood della canzone, apportando anche una sezione di clavicembalo e archi a metà brano. Forse un po’ breve e non particolarmente significativa, ma comunque ben fatta. Peccato che la seguente Ophis si riveli uno strumentale, perché nel suo essere ben fatto e gradevole, lascia un po’ di amaro in bocca per quello che avrebbe potuto essere corredato da una parte cantata di spessore. I pezzi forti del disco arrivano però da ora in avanti, con Sentymento che ospita un bravo e perfettamente calato nel ruolo Enrico Ruggeri, che prende il proscenio con la sua voce baritonale ed immediatamente riconoscibile e la successiva Scream Again, all’apparenza una ballad inquietante e piena di ombre, nella quale Evil è accompagnato niente meno che da Steve Sylvester e Ain Soph Aour, entrambi capaci di evocare i propri spiriti in momenti diversi del brano, esaltandone la mutevolezza e le particolari atmosfere. Peccato che a questo punto la band piazzi un brano del tutto indecifrabile come Grey Obsession, che pur potendo vantare due ospiti illustri come Mike Browning e Martin Grice, si rivela come una specie di mantra di matrice orientaleggiante, sognante e fascinosa, ma assolutamente avulsa dal contesto del disco. La successiva Dusk Patrol è un brano breve e quasi strumentale, di effetto e atmosfera, nella quale Tony Dolan gioca il ruolo di voce recitante, con una interpretazione che potrebbe ricordare persino Mike Patton. Molto più interessante la successiva Pain, brano struggente nel quale anche la chitarra riesce finalmente ad emergere in chiave solista e l’interpretazione di Mickey Evil, pur senza rinunciare alla caratteristica voce paperinesca, si rivela misurata e di buona efficacia. Chiude Ubique ed è nuovamente un brano strumentale, che scorre via piacevolmente, senza lasciare granché, a parte l’inquietante finale.
     
    Tornando al discorso iniziale, sarà difficile che Something Weird e i The Mugshots possano essere accusati di mancare di personalità e voglia di emergere. Un aspetto questo che andrebbe premiato, a maggior ragione in un contesto musicale odierno composto da band fotocopia e senz’anima, che sono proprio l’antitesi di quanto proposto dal gruppo italiano. Lo sforzo compositivo e di evocazione di un immaginario gotico e orrorifico classico, caro tanto al mondo del cinema quanto a quello dei fumetti, è un aspetto che non si può sottostimare. Al tempo stesso, è difficile arrivare in fondo all’album e ritenersi davvero soddisfatti da quanto ascoltato. Il continuo saliscendi qualitativo e l’eterogeneità della proposta, specialmente nella seconda parte, assieme ad alcune scelte stilistiche forse non pienamente convinte e convincenti, rende arduo un giudizio pienamente positivo. Un vero peccato, perché in tutti i brani il talento della band è davvero evidente e in alcuni di essi si raggiunge già adesso un livello anche buono e capace di aprire ampi spazi sul futuro. Probabilmente qualcosa nella proposta può e deve ancora essere limato, oppure, definitivamente liberato da qualsiasi tentativo di ridurlo ad una forma e ad una struttura limitanti, come quelle attuali. In buona sostanza, si rischia di essere troppo complessi senza riuscire a gestire questa complessità, ma al contempo troppo orecchiabili e ad ampio raggio di potenziale utenza, per raggiungere reali picchi di innovazione artistica. Alla band non mancano davvero le capacità per un ulteriore salto e il raggiungimento di quella forma definita che farebbe davvero la differenza, andando finalmente a comporre il quadro tra personalità, ispirazione e qualità di scrittura. 
  • Il nuovo album dei The Mugshots è definito come “Elitarian Undead Rock”, e consiste fondamentalmente in quasi 49 minuti di una musica che definisco per sommi capi come un rock che sperimenta con sonorità a volte gotiche, a volte più creepy e più raramente ariose, che solo a tratti si affaccia al metal, e il tutto condito da una pletora di ospiti perlopiù illustri, che comprendono anche Steve Sylvester, Ain Soph Aour, Tony Dolan, Freddy Delirio, Mike Browning e perfino Enrico Ruggeri. Come si può legare questo genere musicale (gothic rock, chiamiamolo così per semplicità) con le capacità compositive dei The Mugshots e una tale pletora così variegata di guests? Se lo fai, o ci troviamo di fronte a qualcosa di rivoluzionario, oppure ci troviamo di fronte a qualcosa di over-produced e over-thought, dove qualcosa tra i contributi massivi dei guests o il songwriting sbilancia tutto e oscura l’altra componente. La risposta data da “Something Weird”, purtroppo, ci dice che tutto ciò non si può legare, o che se anche si può fare “Something Weird” non è un buon esempio di tutto ciò.
     
    La prima parte dell’album infatti (quella più scevra da guests) è quella che descrive di più le capacità proprie dei The Mugshots e che purtroppo mostra dei limiti: lo stupore iniziale di questo rock abbastanza creepy di “The circus” lascia ben presto spazio ad un ritornello incolore, riffs invero abbastanza anonimi e soprattutto ad una voce che cerca di essere grottesca ma che dopo un po’ risulta poco efficace, forse perché troppo impostata o dallo stile che non cambia granché. E se gli stessi problemi ce li abbiamo in “Rain”, è da qui in poi che escono fuori altri problemi: Punto primo: appena subentrano i guests, lo stile dei The Mugshots cambia e tutto suona molto più nello stile del guest che della band in sé. Ne siano un esempio le tastiere di Freddy Delirio, che nella quarta canzone fanno virare il brano su di una cosa tra Ghost e Death SS. Punto secondo: brani come la quinta canzone che suonano troppo diversi, scollati o messi al posto sbagliato dell’album. Punto terzo: troppe strumentali sinceramente inutili e che appesantiscono il lavoro, spesso neanche così speciali, come “Ophis”. E una volta preso atto di tutto questo, “Something Weird” si rivela per quello che è: un disco fatto da una band discreta, ma che suona appesantito da troppe strumentali e brani fuori contesto, e dove i guest finiscono per rendere poco comprensibile il valore proprio della band, i quali a volte sono francamente evitabili (Perché chiamare Tony Dolan per fargli fare fondamentalmente qualche spoken vocals su di un intermezzo?), o a volte semplicemente sovrastano la band, come Enrico Ruggeri che in “Sentymento” umilia letteralmente e surclassa Mickey Evil, finendo per farsi notare solo lui in una canzone che tra l’altro suona diversa dalle altre (troppo ariosa e distaccata da tutto il resto). Inutile la parte finale dell’album, costituita da una nona canzone che di nuovo, è avulsa da tutto il resto, da un intermezzo inutile e da una “Pain” anche bella e finalmente con una chitarra solista, ma che forse arriva tardi, quando a causa di così tante variazioni stilistiche un buon brano dei The Mugshots arriva quando l’attenzione è già scesa.
     
    In conclusione: “Something Weird” non è affatto weird secondo me: è il frutto di una band che avrebbe anche fatto un disco decente, ma che viene penalizzato da una tracklist un po’ discutibile, da una certa voglia di teatralità invero che suona un po’ cheesy e pretenziosa, e soprattutto la cui personalità viene deformata troppo da tanti contributi esterni che vanno in direzioni differenti, rendendo quasi impossibile capire dove finisca il guest e dove comincia lo sforzo proprio della band. “Something Weird” è la prova che tanti ottimi ingredienti non bastano a fare una ottima zuppa, e per questo io non ne sono rimasto impressionato.

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